Nelle fumarole della Solfatara, a partire dalla fine del 2018, si è registrato un aumento delle concentrazioni di zolfo provenienti da un magma in risalita dalla crosta terrestre, tra i 9 ed i 6 km di profondità. È quanto emerso da uno studio condotto dai ricercatori dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV – OV), in collaborazione con l’università degli Studi di Palermo, che hanno indicato un’anomalia importante nella composizione dei gas delle fumarole.
Secondo la ricerca, il crescente trasporto di questi gas verso la superficie, inducendo il riscaldamento del sistema idrotermale e concorrendo alla generazione della sismicità osservata ai Campi Flegrei negli ultimi anni, potrebbe aver determinato una crescente ri-mobilizzazione dello zolfo intrappolato nei minerali idrotermali, contribuendo all’anomalia di zolfo osservata nelle fumarole.
«Un crescente rilascio di zolfo dalle fumarole è tipica dei vulcani quiescenti che attraversano una fase di possibile graduale riattivazione», ha spiegato il team di ricercatori, che ha confrontato i dati ottenuti ai Campi Flegrei con quelli di altri sistemi vulcanici.
Sebbene i risultati non implichino l’imminenza di un’eruzione vulcanica, lo studio evidenzia la necessità di mantenere l’attenzione sul sistema flegreo.
«Questi risultati migliorano la nostra comprensione della crisi bradisismica in corso e ricordano l’importanza di un monitoraggio costante», ha osservato Stefano Caliro, Dirigente Tecnologo responsabile del monitoraggio geochimico dei vulcani campani presso l’INGV-OV e primo autore dello studio.
Prima di questo studio, si riteneva che le concentrazioni di idrogeno solforato, fossero regolate da reazioni di equilibrio a bassa temperatura con i minerali dello zolfo, attive nella parte superficiale del sistema idrotermale.
«La vera novità del nostro lavoro è aver documentato una chiara evoluzione nell’origine dello zolfo. Il crescente contributo magmatico nei gas suggerisce una importante evoluzione nella dinamica del sistema vulcanico flegreo dal 2018», ha sottolineato Giovanni Chiodini, Dirigente di Ricerca Associato presso l’INGV.
La ricerca si è basata su uno dei dataset di composizione delle fumarole più completi al mondo, con dati raccolti dal 1980 a oggi. I ricercatori hanno analizzato in laboratorio campioni di gas prelevati regolarmente nell’area della Solfatara dei Campi Flegrei, e hanno utilizzato modellazioni numeriche per interpretare i dati.
«In questo ed in altri studi in corso sulla caldera dei Campi Flegrei emerge la fondamentale importanza del monitoraggio continuo multiparametrico della caldera sia nella porzione emersa, che sommersa, La combinazione di tutti i dati offrirà una visione sempre più accurata della possibile evoluzione del sistema», ha affermato invece Mauro A. Di Vito, Direttore dell’INGV-OV e co-autore dell’articolo.

Campi Flegrei, rilevata anomalia nella composizione dei gas. Per i ricercatori dell’INGV dipende dalla risalita del magma
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2 commenti su “Campi Flegrei, rilevata anomalia nella composizione dei gas. Per i ricercatori dell’INGV dipende dalla risalita del magma”
Fin ora nessuno aveva parlato di cambio nella chimica dei gas della caldera anche se si è sempre saputo che esso è un segnale importante nell’evluzione di essa e pur vero che non esiste nessuna tecnologia capace di prevedere un eruzione se non un monitoraggio dei gas e scosse di precursori antecedenti ad un eruzione e nella mia ignoranza credo che questi segnali oggi ci siano tutti certo non si può prevedere l’intensità di un evento eruttivo che potrebbe essere di minime proporzioni ma và comunque considerato che stiamo parlando del secondo supervulcano al mondo e spostare all’incirca 3 milioni di persone non è una cosa da prendere in considerazione nemmeno se ci fossero tutti i segnali sopra citati credo che per questo ci sia molta omertà anche nel divulgare notizie volte a salvare vite umane soggettivamente parlando preferisco sia veloce anche per il fatto che un eruzione totale porterebbe l’intero pianete in un inverno nucleare dove chi rimane deve fare i conti con una sopravvivenza molto precaria.
Fin ora nessuno aveva parlato di cambio nella chimica dei gas della caldera anche se si è sempre saputo che esso è un segnale importante nell’evluzione di essa e pur vero che non esiste nessuna tecnologia capace di prevedere un eruzione se non un monitoraggio dei gas e scosse di precursori antecedenti ad un eruzione e nella mia ignoranza credo che questi segnali oggi ci siano tutti certo non si può prevedere l’intensità di un evento eruttivo che potrebbe essere di minime proporzioni ma và comunque considerato che stiamo parlando del secondo supervulcano al mondo e spostare all’incirca 3 milioni di persone non è una cosa da prendere in considerazione nemmeno se ci fossero tutti i segnali sopra citati credo che per questo ci sia molta omertà anche nel divulgare notizie volte a salvare vite umane soggettivamente parlando preferisco sia veloce anche per il fatto che un eruzione totale porterebbe l’intero pianete in un inverno nucleare dove chi rimane deve fare i conti con una sopravvivenza molto precaria.