Radici Flegree: viaggio all’isola greca di Eubea da cui arrivarono i marinai che fondarono Cuma

l’isola di Eubea è una delle più grandi isole che oggi fanno parte della Grecia, basti pensare che è la sesta isola più grande del Mediterraneo. È un luogo che oggi non si presenta come località turistica per il pubblico straniero e trovandosi ad un’oretta di auto da Atene non può certo competere con i monumenti presenti nell’antica capitale e le numerose spiagge dell’isola non sono mai diventate famose come quelle di Rodi o Santorini e questo è un vantaggio poiché anche in un mese di alta stagione turistica quale è agosto questa isola accoglie il visitatore con un’atmosfera di calma ed armonia ellenica che ormai ad Atene o Creta si trova solo nella letteratura greca antica. E nonostante il disinteresse dei turisti stranieri c’è molto da vedere poiché su questa strana e vasta isola vicina al continente c’è passata la grande storia e noi abitanti di questo angolo di mondo possiamo trovare ad Eubea un bel pezzo della nostra storia. Infatti l’isola di Eubea ha ospitato le prime comunità elleniche che già a partire dal X secolo a.C. hanno cominciato a navigare fra le onde mediterranee per esportare i propri prodotti e per cercare nuove rotte commerciali. L’isola è sia pianeggiante che montuosa: a nord prevalgono le piane mentre il sud è caratterizzato da rilievi e questa varietà geografica ha permesso ai suoi abitanti di essere sia dei grandi agricoltori ed allevatori di cavalli e poi anche dei buoni costruttori di navi che potevano sfruttare il legname che cresceva sulle montagne. Dopo la caduta rovinosa della civiltà micenea che prima del X secolo a.C. aveva governato le varie città greche fra ricchezze e splendore le comunità greche dovettero riorganizzarsi partendo da una situazione di grande povertà, fino a non molto tempo fa gli archeologi indicavano quest’epoca di grandi problemi col nome di “Dark Age”, “l’età oscura” proprio perché non avevamo molti dati riguardo a cosa successe in quel periodo. Però una cosa era nota già ai greci che vissero pochi secoli dopo questi fatti come ad esempio Erodoto e Tucidide: in quei secoli bui i greci dell’isola di Eubea già si avventuravano per mare alla ricerca di merci da scambiare e mercati da dominare e gli ultimi decenni di ricerca archeologica hanno dimostrato che queste notizie avevano ben più di un fondamento. A Lefkandi, sulla costa occidentale dell’isola, è stato rinvenuto un grande insediamento risalente alla “Dark Age” caratterizzato dalla presenza di una grande tomba detta “heroon” costruita da una comunità ricca ed organizzata, tale struttura doveva servire a celebrare la sepoltura di una personalità di spicco della comunità, gli archeologi hanno trovato numerosi reperti lasciati lì come corredo funebre e anche alcune statue in terracotta come quella di un centauro: il pensiero corre subito ad Esiodo che aveva descritto nella Teogonia “l’età degli eroi” come una delle fasi della storia dell’umanità. I marinai dell’Eubea conobbero pure i Feneci, il grande popolo di navigatori del Levante che avevano inventato l’alfabeto fonetico e avevano da essi appreso da questi l’uso delle lettere che cominciarono ad usare e ad esportare in tutti i luoghi che frequentavano. Oltre a Lefkandi in età storica sono due le città dell’Eubea che hanno lasciato il proprio ricordo nella storia, ovvero Calcide ed Eretria e sappiamo che le due città solcarono i mari e fondarono empori e città un po’ ovunque nel mediterraneo: Zancle, Naxos, Rhegion, Kallipolis e anche Pithecussai e Cuma, quest’ultima fu addirittura la prima polis greca ad essere fondata nel Sud Italia nel’VIII secolo a.C; sappiamo però che le due città furono anche nemiche, infatti la più antica guerra fra città greche di cui abbiamo notizia fu la guerra che le due città si fecero per il possesso della pianura del fiume Leanto ed è qui che comincia il nostro viaggio. Scappando da un’Atene assediata dal turismo agostano a bordo di una macchina a noleggio si raggiunge l’isola in un’ora d’autostrada e non c’è da prendere nessun traghetto perché l’isola è molto vicina alla costa ed è servita da due ponti e quello preso durante questa fuga è il “high bridge” la cui campata sovrasta l’impetuoso Stretto dell’Euripo, un braccio di mare che fin dai tempi di Omero ed Esiodo viene descritto come pericoloso perché agitato da correnti imprevedibili. Mentre guido osservo delle acque calme e non all’altezza della loro fama letteraria. L’isola in questo tratto è pianeggiante, circolano auto solo con targhe greche e non sfavillanti come nella capitale. Sulla strada litoranea che porta a Calcide ed Eretria, i centri principali, ci sono case basse ed essenziali. Non c’è traffico e guardando il mare ogni tanto, senza mortificazioni per il paesaggio, si vedono piccoli complessi turistici e spiagge attrezzate. Sono complessi turistici pensati per i greci in linea di massima, prezzi e modi non sono influenzati dal marketing del turismo internazionale che domina Atene. Al bivio per Eretria svolto in direzione di questa e dopo un tratto in pianura realizzo grazie al navigatore che quella è la Piana del Leanto per il possesso della quale si combatté quella guerra che fu la più antica fra quelle citate dalla stessa storiografia antica. Alle porte di Eretria la pianura finisce e appaiono le prime alture: una di quelle colline ospita l’acropoli (città alta) di Eretria. La prima tappa è al museo archeologico nazionale di Eretria, parcheggio fuori dalla struttura e varcato il cancello ecco il piccolo museo immerso fra i pini marittimi e lo stridire delle cicale mentre la bandiera greca sventola spinta dalla brezza leggera che viene dal mare. Il Museo è piccolo e appena si entra ci sono dei pannelli che mostrano i luoghi conolizzati dai greci d’Eubea: il primo pannello mostra Cuma e l’isola d’Ischia e mentre faccio il biglietto dico ai custodi di abitare nei pressi di Cuma e tutti i custodi mi chiamano patriota e mi chiedono se Cuma esiste ancora e se c’è qualche rovina o qualche centro commerciale, gli dico che c’è un bel parco e ometto qualche bruttura, per mia fortuna mi chiedono se tifo Napoli e il discorso si catalizza sul terzo scudetto. Mi accompagnano in visita alle tre sale che raccontano la storia di Eretria dalla “Dark Age” fino all’età bizantina. Mentre parliamo in un inglese pieno di accenti mediterranei vedo i reperti di Lefkandi e in particolare la statua in terracotta del famoso centauro con la decorazione in “stile geometrico” tipica di quell’epoca antica. Il Centauro è uno dei pezzi più notevoli del piccolo museo e vale da solo lo spingersi fin là: ormai ogni manuale di archeologia o di storia dell’arte antica parte da questo pezzo quando tratta l’evoluzione dell’arte greca a causa della sua alta antichità, questo pezzo è l’inizio della storia dell’arte greca che da qui parte per arrivare ai bassorilievi del Partenone o alle statue di Policleto. L’incontro con il Centauro è un momento particolare, l’ibrido uomo-animale è ricco di significati che rimandano a cose perdute e dice tanto su quella che era e che poteva essere la nostra civiltà che un tempo aveva un rapporto più felice con la natura e con la sua parte “animale”. Dopo la visita al museo seguo le indicazioni dei custodi per trovare ciò che mi interessa: gli altri siti archeologici, una spiaggia e dove mangiare. Uscito dal museo vado all’area archeologica e i resti del teatro e dell’Agora’ di Eretria bruciano sotto il sole di agosto di buona voglia, è facile immaginare qui i marinai che parlavano fra loro di terre strane e lontane e magari qualcuno ha pure dovuto descrivere una terra ricca di colline, fumarole e crateri lontana verso il tramonto. La città bassa si visita facilmente ma la sfida è salire sulla cima della collina che ospita l’acropoli: come un serpente il sentiero si snoda fra i cespugli secchi e sale nell’inclemente sole di Agosto. A metà salita appaiono le mure della fortificazione dell’antica fortezza: massi enormi e sbozzati messi lì quando le navi di Eretria andavano fino alla Sicilia. Arrivati sulla cima ci sono i pochi resti della fortezza e dall’alto si può vedere ciò che resta del Teatro e del Tempio di Apollo ma tali dettagli diventano secondari, ciò che coglie l’attenzione è il paesaggio: il mare dell’Euripo ora appare mosso e di vari colori, sintomo della presenza delle correnti, e di fronte l’Attica (la regione di Atene) e la Beozia segnano l’occidente. Questo era il mare dove vivevano coloro che per vivere e commerciare dovettero andare fino a Cuma e oltre, per di qua è passata la Sibilla, da qui hanno marciato i Titani per raggiungere i Campi Flegrei e in particolare quella modesta altura a picco sul tratto meridionale del Golfo di Gaeta. Forse aguzzando la vista si può vedere pure l’Epomeo da qualche parte oltre l’Attica. Si scende ed è ora di mangiare, vicino alle rovine del tempio di Apollo c’è una trattoria dove si può mangiare un’insalata e un po’ di gyros, gli avventori sempre in compagnia di una bottiglia di birra nazionale greca mi chiedono se sono italiano e gli rispondo di essere napoletano: ovviamente non perdono occasione per ricordare che siamo “una faccia, una razza” e io che ho sempre qualche corno napoletano con me ne regalo qualcuno: il proprietario che ha lavorato alcuni anni a Napoli subito nasconde uno dei corni dietro l’uscio del negozio. Lascio Eretria e arrivo ad una spiaggia che avevo già visto all’andata e dopo aver parcheggiato mi accorgo che c’è un complesso turistico dal nome particolare ,”Abanthia”, e penso che sia un po’ ironico: Abanthia è un antico nome usato per designare l’isola di Eubea e a Ischia nei pressi di una baia famosissima c’è un complesso turistico con lo stesso nome. Ora è tempo di dedicarsi all’Egeo e purtroppo so che non avrò tempo oggi per vedere Calcide o le cave di Caristo dove furono presi i marmi per realizzare le colonne del Macellum di Pozzuoli: lo farò una prossima volta o forse non lo farò, in fondo i Campi Flegrei sono una parte dell’Eubea e viceversa e con gli occhi giusti si può vedere l’uno e l’altro paese contemporaneamente e senza sforzo.

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