Al Museo diocesano la Madonna di Costantinopoli restaurata. Oggi il convegno col vicesindaco, il vescovo e i docenti universitari

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Oggi, presso il Museo Diocesano di Pozzuoli, alle ore 16,30, sarà presentato il dipinto “Madonna di Costantinopoli”, ritrovato a Soccavo e sottoposto a restauro. Sarà presente l’assessore alla Cultura del Comune di Pozzuoli, Filippo Monaco, il vescovo Carlo Villano, il presidente della municipalità Pianura – Soccavo, Andrea Saggiomo, il docente dell’Università L’Orientale, Giuseppe Porzio, e le restauratrici di Studio Ermes e Ambra restauri. 

 La tela è stata attribuita dal prof. Giuseppe Porzio, docente di Storia dell’arte moderna presso l’Università Orientale di Napoli, a Massimo Stanzione, per diverso tempo attivo anche a Pozzuoli in quanto coinvolto, insieme alla pittrice Artemisia Gentileschi e a Giovanni Lanfranco, nella decorazione pittorica della cattedrale di Pozzuoli. L’artista ritrae la Vergine col bambino incoronata da due angeli e testimonia il culto professato nei confronti di Maria Vergine, molto diffuso nel Regno di Napoli, a partire dalla peste del 1526. 

Massimo Stanzione, figura di rilievo del Seicento napoletano, nasce nel 1555 nella provincia di Napoli, tra Frattamaggiore ed Orta di Atella. Fu un grande artista del seicento italiano, tanto da aggiudicarsi l’appellativo di “Guido Reni napoletano”. Si formò presso il pittore manierista Fabrizio Santafede e iniziò la sua attività artistica in età avanzata, ottenendo le prime committenze nel 1615. Tra il 1617 e il 1618 soggiornò a Roma, impegnato nella chiesa di Santa Maria alla Scala. Qui entrò in contatto con le tele di Caravaggio, dei Carracci e del Reni. L’influenza subita dall’opera del Merisi fu moderata e comunque non avvenne per contatto diretto col pittore poiché, quando Caravaggio soggiornò a Napoli, Stanzione era poco più che ventenne e non ancora avviato alla carriera artistica. A Roma tornò diverse volte, ottenendo importanti riconoscimenti (i titoli dello «Speron D’oro» e dell’«Ordine di Cristo»), fino al 1630, quando si stabilì definitivamente a Napoli. Nello stesso anno vi si trasferì Artemisia Gentileschi, con la quale instaurò un importante sodalizio lavorativo basato sulla stima reciproca. Questo rapporto artistico a quanto pare fu anche significativo nella crescita artistica dell’artista, una sorta di “apprendistato informale”; sembra infatti che il pittore napoletano accompagnasse la collega per osservarla mentre dipingeva. Diverse volte collaborarono anche in alcune opere come la Nascita di San Giovanni Battista per re Filippo IV in Palazzo del Buon Retiro. Molti scritti testimoniano che fu un caposcuola e che trovò subito un discreto seguito in seno all’ambiente artistico della città di Napoli. Alla sua scuola infatti aderirono moltissimi allievi e, rappresentando un punto di riferimento culturale, portò a sé anche pittori come Filippo Vitale e Francesco Guarino, che agli esordi della loro attività si erano addentrati nel solco della tradizione naturalista. Prima di questa data dipinse la Pietà di Palazzo Barberini a Roma (1623) e il Sacrificio di Mosè di Capodimonte (1628-30). Gradualmente si allontanò dal naturalismo caravaggesco e si accostò al morbido classicismo della scuola emiliana  A questo periodo appartengono le pale d’altare del Duomo di Pozzuoli (1635-37), gli affreschi nella chiesa Gesù Nuovo (1639-40), le decorazioni nelle cappelle di san Bruno (1631-37) e di san Giovanni Battista (1644-45) nella Certosa di San Martino. 
Gli ultimi anni segnarono una evidente apertura verso il “nuovo” stile barocco, interrotta bruscamente dalla morte, sopraggiunta durante la terribile epidemia di peste che, nel 1656,  flagellò la città di Napoli. 

due come un “apprendistato informale”. Il pittore napoletano sembra che accompagnasse la collega per osservarla mentre dipingeva. Diverse volte collaborarono anche in alcune opere come la Nascita di San Giovanni Battista per re Filippo IV in palazzo del Buen Retiro

Dove sia morto l’artista non si sa con certezza, se in una sua dimora all’Ascensione o in un’altra sua abitazione alla Carità[4]. Appare comunque evidente che, come accadde per altri pittori napoletani morti nello stesso anno, le cause sono da ricercare nell’epidemia della peste del 1656