Pergolesi il capo-paranza dei giovani musicisti morì nella città che non ha un teatro pubblico

E’ una ricorrenza importante, il 16 marzo di 282 anni fa morì qui a Pozzuoli, Giovanni Battista Pergolesi. Fu un caso che fosse in terra flegrea, era malato di tubercolosi, aveva bisogno di respirare aria di mare. Ma forse è proprio qui che scrisse le ultime note del suo capolavoro più grande, lo Stabat Mater.

Eppure, se a Jesi, dove è nato, tantissime sono le iniziative in sua memoria nei Campi Flegrei, pur essendoci studiosi e sporadici eventi che lo ricordano, non c’è un teatro pubblico, un teatro che sia tale per gli spazi, per il palcoscenico e i posti in platea, un teatro come quello di Jesi che porta il nome del musicista e ha ben 712 posti.

Eppure nonostante sia vissuto solo 26 anni, Pergolesi è un musicista immortale.

A Jesi riceve le prime nozioni di musica, ma ha un talento innato e suo padre lo manda a studiare a Napoli, dove Giovanni Battista viene ammesso al Conservatorio dei Poveri di Cristo. Studia conoscendo le grandi personalità del momento. Si innamora del violino con De Matteis, poi passa al Maestro Greco per arrivare poi a perfezionarsi nel 1728, sotto la guida di Francesco Durante.

Negli annali della scuola (1729-1730) il suo nome viene indicato come il  “capo-paranza”, aveva il compito di guidare un piccolo gruppo di giovanissimi musicisti, che studiavano al Conservatorio (la “paranza”), ad eventi come feste, messe, funerali.

La Napoli barocca è ricca, ricchissima, di scambi culturali, di nuove energie (questo è anche il periodo di Scarlatti) Pergolesi si fa amare. Compone diverse opere (le più famose La Salustia, La Serva Padrona, Lo frate ‘nnamurato, l’Olimpiade e il Flaminio e il suo capolavoro, lo Stabat Mater).

Fu la sua figura importantissima per il barocco napoletano, la città che nel 1739 fu definita dal politico francese Charles de Brosses, la capitale del mondo della musica. Incontrò i Carafa. Nel 1734 fu nominato maestro di Cappella sostituto dalla «Fedelissima Città di Napoli».

Se è vero che Jesi lo vide nascere e lì esiste una Fondazione Pergolesi che organizza annualmente manifestazioni in suo onore, Pergolesi è soprattutto Napoli sia per i libretti delle sue opere scritte in dialetto, sia per tutto ciò che la città e il suo clima ha significato sulla sua opera (tanto grande da essere ripresa da Bach).

Le sue condizioni di salute lo costrinsero a trasferirsi a Pozzuoli, perché malato di tubercolosi. Passa i suoi ultimi giorni in un convento, guardando il mare del golfo, con davanti le isole.

Pergolesi non è certo sconosciuto in area flegrea, giovani musicisti si ispirano al suo talento immortale, nel 1986 Gianni Race, storico di Bacoli, scrisse un capitolo di un ampio volume sul maestro del barocco e quel testo aveva tra gli autori anche il grande Roberto De Simone. Abbiamo notizia di iniziative culturali che avranno luogo in questi giorni che lo ricorderanno, grazie ad artisti flegrei, all’Archivio diocesano di Pozzuoli, al Comune di Bacoli, ma si tratterà sempre di piccoli appuntamenti.

I teatri non ci sono, quelli grandi che possono sostenere eventi di un certo tipo, eppure non mancano artisti nella terra flegrea, anche di grande valore. Con questo non si vogliono sminuire i grandi sforzi di associazioni o di piccoli teatri che pur ci sono, ma ci rendiamo conto che a Jesi, nelle Marche, con poco più di 40mila abitanti, c’è un teatro di 712 posti?   

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